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Milano

Pd, divorzio ambrosiano

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Oggi Michele Ainis ci ricorda sul Corriere della Sera che la battaglia sul Senato ha radici antiche. Nell’Assemblea costituente la DC lo voleva composto di rappresentanti  regionali non elettivi. Il PCI ne fece una questione di principio: chi interviene sulle Leggi deve essere “eletto dal popolo”. Come si vede, le stesse posizioni di oggi: Renzi come la DC, la minoranza Pd fedele alle origini. Radici antiche, ma frutti di attualità: perché il Pd rischia di esplodere. E questa volta non è l’ennesimo broncio di Bersani, che svapora dopo cinquanta giorni di riflessione. Stavolta la faglia trema, e i sismografi registrano quel tipo di scosse che annunciano il Big Bang. E l’epicentro è Milano. La Festa dell’Unità, più nazionale che milanese, ha messo a nudo un Pd che rischia la morte per noia. Molti i dirigenti, i funzionari e le telecamere, ma poco popolo, a parte il comizio finale del premier. E a Roma è allarme: i dirigenti, Renzi a parte, non bucano. Le battaglie sono di piccola conservazione, con alte dosi di politichese. La fedeltà di tesserati e militanti è messa a dura prova, e l’unica domanda che gira in sezione è: “Ti piace Renzi?”. Segue sbadiglio. A sentire chi conta nel Pd, i fuochi d’artificio si vedranno sotto la Madonnina. E’ proprio a Milano infatti che può consumarsi la scissione. Nell’aula di Palazzo Marino, come in città, i renziani sono pochi, troppo pochi. A Palazzo Chigi è già arrivato l’ultimatum: Matteo, se candidi a Milano uno dei tuoi si spacca il Pd. Con tanto di gruppi separati in aula e battaglia finale alle primarie, con una riedizione aggravata della bruciante sconfitta di Boeri, candidato Pd nel 2011, a favore di Pisapia. Molti segretari di sezione confermano lo scarso gradimento del premier tra i militanti Pd. Perché tutto ciò che nella provincia italiana è vissuto come smagliante innovazione, a Milano sembra già vecchio e strapaesano. Renzi come politico del common sense: qualunquista, per dirla in italiano. E molti elettori milanesi sarebbero pronti a disertare con un candidato Renzi-oriented tipo Sala. In queste ore la ricerca del candidato unitario, Balzani in testa, è febbrile. Ma se non si trovasse, gli scenari sarebbero due. O Renzi cede e regala Milano a Sel e alla sinistra radicale (con esiti nazionali imprevedibili), o Renzi va allo scontro, obbliga il Pd locale alla fedeltà, e favorisce lo scisma. La spaccatura  potrebbe avvenire molto prima delle primarie, e a Palazzo Marino girano i sondaggi, e parlano chiaro: alla minoranza Dem, a Sel e alle componenti “arancioni”, conviene separarsi da Renzi. E molto.

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